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L’Evangelo del Giorno
13ª Domenica del Tempo Ordinario
“Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni.” (Marco 5,21-43).
“Talità kum” è una espressione aramaica che significa: fanciulla, io ti dico alzati”. Queste parole ci aprono ad una prospettiva di resurrezione, di rinascita, di vita.
Ed é in questa ottica che dobbiamo rileggere l’Evangelo di questa domenica perché tutto il lungo racconto assume questo significato di vita nuova, riconquistata.
Lo è per la figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga, e lo è per la donna colpita da continue perdite di sangue. E non è il caso che il racconto metta al centro due donne che rappresentano il segno della vita umana donata.
E in questo Evangelo scopriamo anche il numero dodici. Dodici anni di sofferenze, dodici anni di età … ma anche dodici le tribù d’Israele, dodici apostoli. Dodici è per noi il simbolo dell’annuncio e della missione. Tutto quello che annunciamo è per la vita, per la resurrezione.
C’è anche un altro insegnamento che possiamo trarre dall’Evangelo. É la salvezza annunciata dal Cristo, da Gesù che trasforma la morte in vita, il dolore in gioia. Gesù ci viene incontro per risollevarci, per rendere questa vita più umana.
L’Evangelo del Giorno
Sabato della 12ª Settimana del Tempo Ordinario
“Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va', avvenga per te come hai creduto». In quell'istante il suo servo fu guarito.” (Matteo 8,5-17).
É un Evangelo, quello di oggi, che ci raccolta una serie di guarigioni: il servo del centurione, la suocera di Pietro e molti indemoniati.
Ci concentriamo sulle parole centrali di questo racconto perché Gesù è meravigliato della fede del centurione romano che si preoccupa del proprio servo, al quale era molto affezionato.
La particolarità del dialogo con il centurione sta nell’umiltà, nel rispetto, nel timore con il quale il centurione si rivolge a Gesù per chiedere aiuto. Ci verrebbe da tradurre così le parole rivolte a Gesù: Maestro in non sono credente, non ho proprio fede, ma aiuta il mio servo a guarire, tu che puoi tutto!
La fede nel Signore travalica la nostra pochezza, le nostre fragilità, le nostre incapacità. Il Signore accoglie soprattutto quando la nostra richiesta di aiuto non è rivolta solo per noi ma per il bene degli altri.
Tutto potrebbe sembrare semplice ma al contrario le parole di Gesù non si fermano alla constatazione e alla meraviglia. Gesù afferma: “molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti.”
Gesù ci vuole dire di non essere troppo sicuri, noi che abbiamo fede perché siamo figli della chiesa, di sentirci a posto, perché altri verranno da Oriente e da Occidente. Ovvero la fede non è prerogativa dei “nostri”, come spesso diciamo. La fede, i semi del regno, appartengono anche ad altri. Così come il centurione, la suocera di Pietro e la povera gente della terra d’Israele.