QUELL'8 SETTEMBRE “VISTO” DA VOI
Vorrei condividere con voi le memorie che mi ha lasciato mio nonno materno (scomparso di
recente) ricordando in particolare l'eccidio di Sparanise (Ce).
Era il 22 ottobre del 1943,a ridosso dei fatti di settembre,quando i tedeschi uccisero la madre di
mio nonno,Maria Teresa Marrapese,insieme a 39 civili innocenti. La mia bisnonna era accorsa
in strada perché durante uno scontro a fuoco,i tedeschi si stavano ritirando verso la Linea Gustav
(che all'epoca divideva in due l'Italia:a nord i tedeschi,a sud gli alleati),e le colonne armate
passavano dal paese campano,avendo avuto notizia del riferimento di uno dei suoi figli (il
fratello di mio nonno,militare di servizio ma senza ordini ben precisi e senza reggimento a
causa del caos che susseguì all'Armistizio). I tedeschi in fuga spararono contro tutti i civili
incontrati per strada:Maria Teresa fu trucidata con un colpo alla nuca mentre era sul corpo del
figlio che credeva morto. Gli storici non hanno ancora definito le cause di così tanta ferocia:
secondo mio nonno ci fu una rappresaglia per colpire una cellula di partigiani che si rifugiava
nelle montagne della zona. Oggi a Sparanise un monumento a quei caduti testimonia il fatto
e le famiglie delle vittime sono state insignite della Medaglia d'oro al merito civile. Mio nonno,
Temistocle Zona,sottufficiale ferito gravemente e semi invalido,era invece convalescente a causa
di una brutta ferita alla testa riportata sul fronte africano. Scampò ad un rastrellamento tedesco,
grazie all'eroismo della moglie Maria che,in tedesco stentato e con una notevole dose di coraggio,
spiegò che il marito era moribondo e inabile al lavoro,pregando i soldati di risparmiarne la vita.
L'8 settembre 1943 mio padre Carlo Rosi (classe 1915) si trovava in Grecia con il 18*reggimento
artiglieria,Divisione Pinerolo. Quella sera,tramite gli altoparlanti,la propaganda della resistenza
greca esortò i soldati italiani a unirsi a loro,per combattere insieme il comune nemico tedesco.
Nella notte fu trasmesso anche un messaggio da Radio Londra,che divulgava la notizia
dell'armistizio concluso tra il governo Badoglio e gli Alleati. Grande gioia fra i soldati italiani,
che credevano nella fine della guerra. Ma gli italiani erano in balia dei ribelli greci e tedeschi,che
presiedevano saldamente molti punti strategici della penisola greca: era necessario rimanere
disciplinati e uniti. Invece si formarono gruppi di simpatizzanti per i partigiani,mentre altri
volevano continuare a stare con i tedeschi. Si cercava di avere notizie e ordini dal comando a
Larissa,ma le comunicazioni erano possibili solo tramite i piccioni viaggiatori. E arrivavano solo
disposizioni evasive e illogiche come:”Chi vi attacca è il vostro nemico!”.
La soluzione per mio padre si delineò dopo qualche giorno:il male minore era unirsi alle bande
della resistenza greca. La fine di questo inferno arrivò il 10 dicembre 1944 grazie alla Croce
Rossa Internazionale,che si prese cura dei nostri soldati e li fece tornare a casa verso Natale,su
una nave da guerra inglese. Mio padre,Luca Scaravonati,fante del 78* reggimento Lupi di Toscana,
si trovava con il reparto a presidio di Tolone (Francia) quando ebbe l'ordine di rientrare in patria.
Il reggimento lasciò la cittadina francese il 6 settembre 1943 e si trovò accampato nei pressi di
Tarquinia (Vt) quando fu raggiunto dalla notizia dell'armistizio. Degli ufficiali superiori non c'era
traccia e neppure di ordini da eseguire. Liberati muli e rese inutilizzabili armi lunghe (schiacciate
con le ruote dei carri),i soldati originari del Nord Italia tentarono di prendere il primo treno alla
stazione di Orvieto. In un caos indescrivibile mio padre riuscì a salire su un convoglio,ma in
prossimità di Bologna il capotreno lo avvisò che i tedeschi avrebbero effettuato una perquisizione,
catturando tutti gli uomini senza documenti. Mio padre si nascose sotto il sedile (grazie alla
complicità di alcune donne che lo coprirono con le loro lunghe sottane) e sfuggì alla cattura.
Come il treno rallentò la sua corsa,scese giù e percorse,a piedi e di notte,i 120 km che lo
separavano da casa,nel comune di Sissa (Pr),dove giunse il 13 settembre 1943.
Dopo l'8 settembre molti italiani si trovavano difronte ad una drammatica alternativa:
l'inquadramento nella milizia repubblicana o la partecipazione alla lotta di resistenza. Ma circa 50
militari sbandati (tra cui mio padre),e civili (tra cui molti ebrei) scelsero una terza via,forse meno
impegnativa e rischiosa,seppure densa di incognite,espatriando clandestinamente in Svizzera,
dove ricevettero asilo. Ma dovettero rimanervi anche fino alla fine del 1945. Ho ricostruito la
storia di mio nonno nel 2001,quando gli giunse una lettera dell'Organizzazione internazionale
per le migrazioni (Oim) che comunicava,a chi aveva partecipato alla Seconda guerra mondiale,
la possibilità di richiedere un indennizzo per le violenze/o i danni subiti. Io raccolsi la
testimonianza di mio nonno e,nonostante quell'indennizzo non sia mai arrivato,capì che avevo la
Storia “vera” in casa mia. Il nonno,mancato nel 2008,si chiamava Fiore,era nato nel 1920 tra Elmo e
Montebuono,due paesini in provincia di Grosseto,nella Maremma. Negli anni della guerra il
nonno era già sposato e faceva il contadino...La vita di campagna allora era dura:la mattina la
sveglia era quasi all'alba:gli uomini si occupavano della campagna e degli animali,mentre le donne
si dedicavano alla casa,al cibo e ai bambini. Qui la guerra sembrava lontana,almeno tra i poderi.
Fino a quando,nel 1942,arrivò una lettera di richiamo. L'8 settembre 1943,mentre il maresciallo
Badoglio annunciava l'armistizio,mio nonno,combattente a Patrasso,in Grecia,venne catturato in
giorno pieno,insieme ai suoi compagni,dalle truppe tedesche,che li disarmarono obbligandoli e
seguirli. Il nonno e gli altri prigionieri furono costretti dai tedeschi a salire su un treno che li
condusse a Luckenwalde (Germania),vicino a Berlino. Dopo due giorni di viaggio i tedeschi li
fecero salire sui camion che li avrebbero portati a Klausdorf,nel campo di prigionia di
Stammlager III A. Qui i prigionieri furono messi ai lavori forzati:il nonno riuscì a farsi assegnare
alla cucina garantendosi quel pezzo di pane che gli avrebbe consentito di sopravvivere.
In quel campo i tedeschi consentivano ai prigionieri,seppure raramente,di scrivere a casa.
Fu così che il nonno riuscì a inviare a mia nonna una foto assieme a due compagni di prigionia
dell'Abruzzo e del Trentino,scattata all'interno del campo. Il messaggio suona così (il nonno
aveva imparato a leggere e scrivere per conto proprio): “Questo è un mio ricordo si arriva e siamo
tre amici e spero che verrà nelle tue mani saluti e baci tuo Fiore”. Il nonno fu liberato nel 1945,
quando i tedeschi,alla notizia dell'arrivo ormai prossimo degli Alleati,abbandonarono il campo
di prigionia lasciando che i prigionieri ne uscissero liberi. Dalla documentazione a noi rimasta,
risulta che il nonno rientrò al distretto militare di Grosseto il 31 marzo 1945. Mio padre Massimino
Ortombina,di Rivoli Veronese (Vr),il prossimo 9 giugno compirà 90 anni: faceva parte della
Divisione alpina Julia e,nei giorni difficili dell'Armistizio,era da poco rientrato dal Don,sfuggendo
per miracolo all'accerchiamento russo,ed era stato stanziato alla caserma Perini di Trento.
Il 7 settembre 1943 i comandanti avevano fatto consegnare in armeria tutte le armi. Il giorno dopo
erano entrati dalle due porte estreme della camerata due ufficiali tedeschi che si erano sparati
e uccisi a vicenda. Entrarono poi alcuni soldati tedeschi giovanissimi armati. “Se avessimo avuto
ordini avremmo potuto disarmarli senza problemi a mani nude” racconta mio padre. Fatto sta che
invece i tedeschi li presero e li deportarono in Germania. I comandi avevano lasciato i soldati
nell'incertezza e in balia di un manipolo di ragazzini. Da lì iniziò la sua lunga odissea nei campi
di concentramento nazisti fino alla liberazione. Mio padre seppe proprio in Germania che quello a
cui aveva assistito era stato un duello d'amore per una ragazza tedesca. I carcerieri tedeschi
invece li presero di mira proprio perché credevano che fossero stati gli italiani a uccidere i loro
compagni.
Con le mani nel sacco. Storia contemporanea.
Le conseguenze dei furti e delle estorsioni a Pistoia nella tragica estate del 1944.
Del periodo bellico a Pistoia rimangono ancora oggi numerosi misteri da chiarire: uno di questi è la morte del partigiano e antifascista Silvano Fedi. Ufficialmente tutto ebbe origine da una strana vicenda accaduta nel luglio 1944, quando Fedi e i suoi compagni vengono informati che alcune persone, che si dichiaravano partigiani, facevano asportazioni illegali nella zona del “Bottegone”. Questi si presentavano armati nelle case di persone del posto e imponevano la consegna di merci e denari. Per evitare che la popolazione civile negasse l'appoggio che fino a quel momento aveva dato alla formazione, fu deciso di intervenire.
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Il fascismo prende il potere.
Nasce il partito fascista.
Un uomo politico spregiudicato e ambizioso, Benito Mussolini, che era stato espulso dal partito Socialista per aver sostenuto la necessità dell'intervento in guerra dell'Italia, cercò di trarre profitto dallo scontento generale fondando un nuovo partito: il partito fascista. Il fascismo così detto dal suo emblema, che riproduce l'antico fascio dei romani [fascio littorio], fatto di verghe legate assieme con in mezzo una scure, aveva un programma vago, un po' socialista e un po' liberale, un po' anarchico e un po' nazionalista e dittatoriale. Prometteva di fare tornare l'ordine in Italia e dichiarava di proporsi, al di sopra di ogni altro fine, il bene della patria.
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L'Italia nel periodo fascista. Storia.
Il dopoguerra agitato.
Nel 1919, al termine della guerra, l'Italia doveva affrontare problemi seri e
urgenti: il caro-vita, la disoccupazione, la miseria. A tutto ciò si aggiungeva
il malcontento dei più poveri che, costretti a una guerra non voluta, non
vedevano neppure mantenute le promesse di miglioramenti, mentre vedevano
arricchita una parte della borghesia, grazie ai proventi della industria bellica.
La conseguenza fu una tensione così profonda da sfociare ben presto in scioperi,
agitazioni, tumulti con morti e feriti.
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