Sto riflettendo sull'ANACICLOSI.
Mi domando, alla luce degli eventi storici, anche quelli più recenti e più vicini a noi, forse Polibio aveva visto giusto?
Non vi è costituzione buona per sempre, ma un avvicendarsi di forme con alternanza di periodi buoni, meno buoni, cattivi.
Dopo di lui ne parlarono Machiavelli e Vico.
Ed oggi in che ciclo siamo? Cosa prevedere e/o fare?
Da wired: Già a maggio sapevamo perfettamente di cosa avremmo avuto bisogno per arginare una possibile seconda ondata. Anzitutto di un sistema di contact tracing più efficace per spegnere sul nascere i focolai e contenere la diffusione dell’epidemia. Quindi di potenziare la medicina territoriale, per assistere i pazienti con sintomi più lievi, evitando di gravare sugli ospedali, dove invece si doveva aumentare il numero di posti letto nei reparti di terapia intensiva. E poi ancora: investimenti per rendere più sicura la mobilità sui mezzi pubblici in vista della riapertura autunnale di scuole, fabbriche e uffici. Infine, un piano pandemico per gestire un’eventuale seconda ondata in modo coordinato e proattivo, prendendo decisioni rapide ed efficaci – perché basate sull’evidenza scientifica ormai disponibile – in caso si fossero rese necessarie restrizioni per mitigare l’epidemia.
Passata la fase acuta dell’emergenza, abbiamo avuto cinque mesi per attrezzarci in vista dell’autunno, la stagione preferita dalle infezioni respiratorie. Una volta tanto, non mancavano neppure le risorse finanziarie: bisognava soltanto spenderle bene e senza perdere tempo. Che cosa ha fatto il governo in questi mesi? E com’è riuscito il maledetto coronavirus a fregarci un’altra volta? Questa è una maratona e forse c’è ancora tempo per recuperare il terreno perduto. Perciò vale la pena chiedersi che cosa è andato storto e di cos’altro abbiamo più urgente bisogno per correre alla pari con Sars-CoV-2.
Il primo argine è crollato
“Non riusciamo a tracciare tutti i contagi, a mettere noi attivamente in isolamento le persone. Chi sospetta di aver avuto un contatto a rischio o sintomi stia a casa”. Il primo grido di allarme è arrivato per bocca di Vittorio Demicheli, direttore dell’Azienda territoriale sanitaria (Ats) di Milano, in un’intervista rilasciata a SkyTg24 il 19 ottobre. Due giorni dopo gli ha fatto eco Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza: “Milano, Napoli, probabilmente Roma sono già fuori controllo sul piano del contenimento dell’epidemia, cioè test e tracciamento. Quando non riesci a contenere devi mitigare”. Nelle regioni più colpite, il contact tracing che avrebbe dovuto fare da primo argine contro la seconda ondata ha ormai ceduto.
La conferma è arrivata dai dati elaborati dalla Fondazione Gimbe nella settimana del 14-20 ottobre, quando con un brusca impennata il rapporto fra casi positivi e casi testati è passato dal 7 a quasi l’11%, certificando “il fallimento del sistema di testing & tracing per arginare la diffusione dei contagi”. Eppure su questo fronte dei miglioramenti c’erano stati. Basti pensare che la scorsa primavera, nella prima fase dell’epidemia, non si riusciva ad andare oltre i 30mila test giornalieri; inutili al fine del tracciamento perché erano riservati per lo più a pazienti ospedalizzati o con sintomi evidenti della Covid-19. Oggi siamo intorno a 150mila tamponi al giorno e il commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri ha promesso di arrivare presto a 200mila. Ma evidentemente non è abbastanza.
Del resto Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova e considerato l’artefice del successo veneto nel contenere la prima ondata dell’epidemia, ripete da tempo che per riuscire a spegnere sul nascere ogni focolaio di Covid-19 ne sarebbero serviti molti di più. A maggio aveva presentato al governo un piano per dotare l’Italia di un sistema di sorveglianza attiva in grado di effettuare 400mila tamponi al giorno. Ma a quanto pare, Crisanti non ne ha saputo più nulla, e da allora quel piano giace in qualche cassetto ministeriale.
Adriano Galli
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