Regime Coronavirus.
Chi ha dubbi è negazionista e malato mentale.
Stiamo scivolando in un regime
Restrizione delle libertà e panico, i “negazionisti” come “malati mentali”
Questi "negazionisti" del Coronavirus quando li interniamo nei campi di concentramento?
E i libri quando li bruciamo?
Da quando la biologa Barbara Gallavotti a Di Martedì di Giovanni Floris su La 7,
ha paragonato i “negazionisti” a “certe forme di demenza”, citando il neuroscienziato Earl Miller, con tanto di grafica del cervello che “si convince di un’idea falsa” è partita in Italia una campagna mediatica surreale.
Decine di opinionisti, dalla Rai ai canali privati, attaccano chiunque non accetti le linee guida su cui si muovono governi ed esperti, tacciandoli come “negazionisti”, deridendoli o stigmatizzandoli come pericolosi per il benessere dei cittadini.
Anche stamattina su RaiUno lo scrittore Sandro Veronesi ha paragonato il negazionismo ad un problema di rimozione e ad malattia psichiatrica. Nel luogo comune però il “negazionista” (sostantivo orrendo che paragona una corrente di storici criminali che negava la Shoah a chi nega la letalità del virus) non è solo colui che esclude l’esistenza del Coronavirus ma è anche chi solleva dubbi sulla sua origine, sulla natura, sulla gestione della pandemia fatta dai governi, sui modelli di intervento degli esperti o presunti tali, sull’interpretazione dei dati del contagio.
Senza accorgercene e con poche mosse siamo slittati a marchiare le idee diverse e il dissenso come una grave malattia mentale o addirittura neurodegenerativa. Probabilmente non avendo mai visto cosa sia davvero la demenza e una malattia neurodegenerativa. In punta di epistemologia anche le affermazioni del dottor Miller sono opinioni, non è scienza.
Il professore non ha monitorato il comportamento del cervello di centinaia di “negazionisti” per verificarne la demenza! Casomai con degli elettrodi collegati alla corteccia celebrale! (vi ricorda qualcuno?)
Questo atteggiamento, rilanciato a reti unificate è pericolosissimo ma è passato come naturale.
Siamo di fronte ad uno strisciante atteggiamento che non si fa fatica a definire
"ariano"
e che con un sistema lombrosiano associa il dissenso ad una degenerazione mentale e ricorda tanto certe dittature che le usavano per zittire chiunque non la pensasse come nella vulgata corrente.
E se anche uno stimato e ottimo giornalista come Giovanni Floris fa passare come normali stigme del genere allora siamo a qualcosa di molto più grave delle stupidaggini di chi nega l’esistenza del virus!
In un sistema liberal democratico chiunque deve poter esprimere le proprie opinioni, senza essere accusato di essere un malato mentale.
Il Covid esiste, può avere conseguenze gravi, alcuni muoiono tanti altri ne escono, ma ognuno deve poter esprimere le proprie opinioni. Le democrazie dovrebbero funzionare così.
In realtà i media sembrano andare in un’altra direzione, spandendo ansia invece che informare e zittendo chi non ripete ciò che è previsto.
Prima l'associazione "negazionisti" - malati mentali, poi l'ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli afferma che a Trump va tolta la parola quando parla di brogli elettorali, tornando sui suoi passi dopo essere stato stroncato da un articolo di Maurizio Tortorella su La Verità.
Intanto sta però passando un concetto storico e civile pericoloso: in ogni momento di sofferenza dello Stato si possono sospendere le libertà individuali e bloccare economia e vite umane. Ma non siamo di fronte ad un mostro sconosciuto, ai primi momenti di caos di febbraio, sono passati mesi di inerzia e di risposte insufficienti dello Stato e dei suoi burocrati che hanno anteposto l’inerzia al discernimento, il caso al raziocinio, l’improvvisazione all’organizzazione causando i danni che vediamo.
In più tutti santi giorni i quotidiani che sostengono il governo affermano che le pecche nella gestione del Coronavirus sarebbero causate per gli ostacoli frapposti alle opposizioni.
Ora cosa ci dobbiamo aspettare, trasmissioni tv sulla genetica delle opinioni?
(Antonio Amorosi)
L’Evangelo del Giorno - Rito Ambrosiano
1ª Domenica di Avvento - La venuta del Signore
Marco 13,1-27
Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta». Mentre era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: «Dicci, quando accadrà questo, e
quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi?». Gesù si mise a dire loro: «Guardate che nessuno v’inganni! Molti verranno in mio nome, dicendo: “Sono io”, e inganneranno molti. E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il
principio dei dolori. Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti. E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà
salvato. (…)
Nel lungo brano di Vangelo proposto oggi, prima domenica di Avvento, mi colpiscono innanzitutto le parole iniziali di Gesù: sembrano dure, cadenzate da una serie di imperativi (quasi ad offrire a chi le legge la modalità migliore per stare nei tempi difficili).
La consegna delle frasi ai discepoli mi suggeriscono due linee di pensiero verso di loro: da un lato appare un Maestro che li protegge e li sostiene a guardarsi intorno; dall’altro li prepara per il futuro e li corazza per essere pronti ad affrontare i momenti bui.
Mi colpisce anche che questo discorso venga svolto al di fuori del tempio: la posizione nelle prime righe viene esplicitata due volte; tale situazione mi ricorda l’importanza di lasciare spazio “alle pietre vive”, ad accrescere un senso di comunità e di religione basati sulle relazioni e sulla fede, non sulle norme.
Infine, ci dice anche che lo Spirito Santo non ci abbandonerà e ci accompagnerà anche nei luoghi e nei tempi dove sembra impossibile (frase davvero importante e di cui farne memoria quotidianamente in questo periodo)
Come posso, da discepolo di Gesù, badare che nessuno mi inganni?
Chi/che cosa mi aiuta ad interpretare i segni dei tempi?
Che ruolo ha lo Spirito Santo nella mia vita?
Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fà splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Salmo 8
L’Evangelo del Giorno
33ª Domenica del Tempo Ordinario
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.” (Matteo 25, 14-3.
Conosciamo bene la parabola dei talenti che rientra nel contesto dei discorsi più importanti di Matteo, con grande valenza escatologica, proiettanti alla fine dei tempi.
A prima vista questa parabola sembra essere adattabile alla storia di un società dell’alta finanza dei nostri giorni. Un imprenditore della finanza di successo che consegna il proprio patrimonio, un patrimonio piuttosto consistente, ai suoi dirigenti per farlo fruttare. Poi parte per un lungo viaggio.
In verità questa parabola, di segno escatologico appunto, riguarda la storia di un padrone decisamente altruista e di tre funzionari ai quali viene donato un patrimonio importante da amministrare secondo le proprie capacità.
Il padrone consegna questo ingente patrimonio affinché accettino la sfida con coraggio di affrontare il rischio e di sviluppare e incrementare questi beni ricevuti.
Dei tre funzionari due hanno capito che l’ingente patrimonio ricevuto è un regalo che va gestito con responsabilità, per gioire con il padrone quando ritorna.
Il terzo invece è un pauroso, sa di aver ricevuto anch’egli un patrimonio importante ma non ha coraggio, anzi confonde la generosità del padrone in modo strumentale: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”.
La conclusione è che il Signore della vita ci affida l’impegno di custodire e moltiplicare i tanti beni ricevuti, le nostre qualità in particolare, per poter partecipare alla pienezza della gioia della vita con lui, mettendole a frutto, non nascondendole.
Il buon D-o non ci ha creati per restare immobili ed oziosi ma per essere dono per gli altri. Così si è discepoli del Signore.