Le città cresciute a dismisura dimostrano perché il gioco (anche del calcio, anche della musica, anche del sesso) è squilibrato a favore della pista dei soldi, contro la legge del territorio e del suo equilibrio violato: viviamo in un mondo dominato dall’avidità, dal capriccio infantile (degli uomini “politichesi”), e così facendo abbiamo perso, forse per sempre, il senso della misura e della proporzione.
Cambiando apparentemente prospettiva di osservazione, le cose vanno più o meno così: tu spieghi fiduciosamente di cosa c’è bisogno per far funzionare un gruppo, un gruppetto, una cittadina, una banda, un quartetto, un trio, un duo, una relazione qualsiasi, perché tu sai come far funzionare le cose. La risposta a volte è entusiastica, a volte fin da subito è di beata indifferenza. Dall’entusiasmo è comunque facile (per molti, non per me, e non li/le capisco) passare alla stasi e allo stato di vegetazione, quindi si modifica l’approccio, che può passare dal ricordare all’avvisare (quindi mezzo salvare), per giungere allo “scherzeggiare”, a deridere e a “minacciare”, e infine a rassegnarsi e passare oltre, e prendere altre (a quel punto inevitabili) decisioni, perché sia chiaro che piuttosto uno se la suona e se la canta, ma suona e canta, perché non si può smettere di amoreggiare.